Luca Canonici era conosciuto su twitter come Lucabicycle, una di quelle figure schive che hanno contribuito con grande energia, nel 2012, a fondare il movimento #Salvaiciclisti, nato da un richiamo sui blog e finito a muovere migliaia di persone.
Luca era di Ancora, dove viveva, lavorava e pedalava, animando la ciclofficina e tutte le iniziative locali dedicate alla bici. Luca aveva inventato il famoso loghetto minimale di Salvaiciclisti, arancione e azzurro. Me lo raccontò ridendo, per dire che lui che non era un grafico ma aveva dato una mano come poteva, per spiegarmi che durante la fondazione del movimento ognuno, caoticamente, si prendeva un pezzetto di cose da fare, a volte senza un perché. E quel loghetto inventato da Luca poi è finito su tante maglie, sui cartelli, su tanti siti e blog, ha iniziato a girare e a significare: “andiamo in bici per spostarci e muoriamo, perché qualcosa è sbagliato”.
Non so perché sto scrivendo queste cose, forse per raccontarle ai tanti compagni di strada di Bologna che non hanno vissuto quel momento e che non hanno conosciuto quelle persone. Anche se sono passati solo 3 anni sembra un secolo. Io stessa partecipai, inizialmente, solo come spettatrice, osservando con curiosità e stupore tutto il fermento che passava dal gruppo facebook nazionale.
Sono passati solo 3 anni dall’8 febbraio 2012, e oggi sono solo 3 giorni che Luca è stato ucciso. È morto investito per due volte, mentre era in scooter, durante una riconognizione per la biciclettata della settimana europea della mobilità sostenibile. Ne hanno già scritto Rotafixa e il Losco Individuo per cui non vorrei dire altro in merito alla morte, che personalmente mi lascia senza molte intelligenti parole da dire. Per una volta le cronache hanno stabilito la dinamica, che non è da accertare: velocità criminale e assassina.
Le morti stradali sono all’ordine del giorno, intere famiglie fatte a pezzi. Vogliamo un altro modello di mobilità. Qui non si parla delle biciclette o dell’automobile, si parla di non morire in strada. Forse anche di cambiare l’idea di strada come spazio di scorrimento, si parla di vitalità, di gioia, di tutto quello che Luca come altri sapeva trasmettere e che in un secondo non c’è più. Non chiamiamo “incidente” quello che succede ogni giorno. È previsto e accettato da tutti, anche da noi, forse.
Intorno alla morte di Luca il movimento nazionale si sta interrogando: forse è il momento di mettere da parte le nostre bagatelle locali per andare insieme verso l’obiettivo, in questo dolore possiamo finalmente trovare la motivazione necessaria. Questo è anche un appello agli amici di Roma, che il 10 ottobre si riuniranno per decidere se costituire o meno un soggetto romano, mi permetto di rivolgermi direttamente a voi perché con molti c’è una sincera amicizia: dovete farlo. Non dovete scegliere un leader da seguire o da attaccare, smettetela di fare filosofia e di ragionare con i “ma”. Bisogna iniziare a esistere, e non solo per fare marce, flashmob e sit-in di protesta, ma anche per creare qualcosa che rimanga durevolmente oltre la protesta. Siete chiamati a fondare una cultura condivisa, spazi, professioni, coinvolgere i giovani, dargli un lavoro che parte dalla mobilità nuova, creare una visione. Per fare questo bisognerà anche protestare, chiedere, obbligare la politica a intervenire. Con energia, propositività, impegno, umiltà, costanza. Il Paese ha bisogno di prendere esempio dalla Capitale, un gruppo romano forte e aperto su quello che succede anche fuori da Roma è quello che serve a tutti. Non è retorica, ne parlavamo spesso, su skype o al Bike Pride: Luca ne sarebbe orgoglioso. Salvaiciclisti-Bologna è con voi, a vostra disposizione. Anche se sono lontana, sono sicura di parlare a nome di tutti i miei compagni di strada.
Vostra Sui